Francesco Recami, Il segreto di Angela, Palermo, Sellerio, 2013


Al centro del terzo dei romanzi che andranno a comporre il ciclo dedicata alla Casa di ringhiera (e del quale sono attesi almeno altre due apparizioni nel corso dei prossimi anni) c’è un manoscritto in cui viene narrata la storia parossistica e avventurosa dell’ex-professoressa Angela Mattioli, una delle inquiline dell’immobile milanese e al momento compagna di letto di Amedeo Consonni..
Non si tratta, come di consueto, di un manoscritto autografo “dilavato e graffiato” come quello che costituisce il punto di partenza dei Promessi Sposi di Manzoni o del testo di un Anonimo Lombardo (come nel caso della splendida quanto parodica narrazione contenuta nel romanzo di Alberto Arbasino uscito nel 1959) ma di un manoscritto firmato con nome e cognome anche se contiene parti censurate e tra parentesi quadra apposte da parte del suo curatore nei punti in cui il racconto si arricchisce di particolari piuttosto scabrosi.
In realtà, come l’autore ha spesso tenuto a specificare, si è in presenza di un meta-romanzo (come già era stato quello di Arbasino) e forse (ma sembrerebbe proprio) di un meta-romanzo su come  scrivere un meta-romanzo (la presenza di un pudibondo curatore “manzoniano” del manoscritto  confermerebbe questa ipotesi).
Il testo scritto di suo pugno da Angela è un romanzo rosa con tinte forti sia dal punto di vista avventuroso (ad un certo punto il romanzo si tinge anche un po’ di “giallo”, anche se non profondo – il sangue non vi scorre mai se non per ferite accidentali dovute a cadute, sterpi, tagli di poco conto) che dal punto di vista erotico (anche se non è certamente una storia del tipo Black Lace, merletti neri, che, per un certo periodo, ha imperversato anche in Italia).
Ma non è né l’uno né l’altro  bensì una vivace e scanzonata parodia di entrambi.
La professoressa Angela Mattioli è stufa da un bel po’ di tempo della sua vita quotidiana : stanca della scuola, della sua preside petulante e troppo rigida nei propri atteggiamenti e degli allievi che non solo non studiano più ma vengono difesi a spada tratta da genitori compiacenti e un po’ subdoli, desiderosi solo di coprire le malefatte dei propri viziatissimi rampolli, infastidita dall’atteggiamento dei propri parenti e di quelli acquisiti, ansiosa di trovare degli spazi esistenziali più vivibili e meno soffocanti di quelli nei quali si trova a trascorrere la sua giornata abituale.
Il marito Gianni è sfuggente e desideroso di scaricare unicamente su di lei la cura della figlia Giulia, di carattere ribelle e che si è già messa una volta nei guai con la giustizia per possesso di hashish, il fratello e la sorella (residente a Cosenza) ambirebbero scaricare sulle sue spalle le cure e la gestione di una madre pedante e bizzosa, incapace di convivere con le varie badanti cui viene affidata, la suocera pretende un trattamento privilegiato da parte sua senza concedere nulla in cambio e la  tratta come se tutto le fosse dovuta. Una situazione insostenibile ormai.
Ma tutto resterebbe sempre come prima se non scoppiasse il caso di Ranieri Reperti, figlio coccolato dai genitori esponenti della Milano bene e dalla nonna che vive, invece, per la maggior parte dell’anno, in una mastodontica villa in Sardegna.
I genitori del ragazzo hanno umilmente chiesto alla professoressa di giustificarlo se si assenterà un po’ di più di quanto consentito perché deve recarsi in Sardegna per questioni di eredità e la donna ha gentilmente acconsentito. Saprà poi dai compagni di classe del giovane che la ragione “vera” dell’assenza è la partecipazione a una regata internazionale che si svolgerà  sull’isola.
Ma il colpo di scena più eclatante sarà il rapimento del suo alunno seguito da una richiesta di riscatto di ben quattro milioni di euro. Il fatto è, però, che da tempo, per evidenti ragioni di pessima pubblicità per l’isola e di necessità di tenere aperte le porte al lucroso turismo di élite che costituiva una delle maggiori fonti di sussistenza della regione, in Sardegna non c’erano più stati sequestri di persona a fine di estorsione e il ritorno a questa forma classica di criminalità isolana sembra strana alle forze dell’ordine che si insospettiscono anche sulle sue modalità.
Ciò che colpisce Angela, invece, è la somma richiesta dai rapitori e per un motivo certamente sconosciuto agli investigatori. In un suo tema (dalla traccia molto banale : “Qual è il tuo più grande desiderio ?” dato agli studenti da un supplente occasionale ma corretto dalla professoressa titolare), Reperti aveva espresso il desiderio di avere a propria disposizione quattro milioni di euro per poter vivere “alla grande” tutta la propria vita da adulto.
La cifra (simile a quella richiesta dai rapitori) insospettisce la donna che vorrebbe portare a conoscenza del tema scritto dal loro figliolo i genitori sconvolti e, in certa misura, rassicurarli sulla sorte della loro progenie che, in tal modo, risulterebbe pesantemente indiziato di auto-rapimento.
Angela, allora, si reca alla villa milanese dei Reperti ma i padroni di casa sono andati in Sardegna per seguire gli sviluppi della situazione. Quella che non si aspetta, però, è che a bordo della sua automobile si sia infilato un giovane sardo che lavorava come giardiniere nella tenuta e che si sentiva il fiato sul collo da parte della polizia perché sospettato di essere il “basista” dell’operazione di sequestro. Minacciata con un’affilata lama di pattada, il coltello a serramanico tipico dei sardi, è costretta ad ascoltare il racconto angosciato del giovanotto la cui innocenza, tuttavia, gli sembra sicura a tal punto che, nonostante la diffidenza di quest’ultimo, non esita a condurlo nell’appartamento della suocera, nel frattempo partita per Montecatini in gita salutista.
Il latitante alloggerà nella casa finché non sarà possibile rimandarlo in Sardegna.
In realtà, dopo lo spavento iniziale, sembra proprio che la matura signora si sia invaghita del suo giovane corpo perché lo nutrirà e lo consolerà verbalmente delle sue disavventure.
Il progetto che emerge alla fine è quello di rispedirlo in Sardegna dove potrà nascondersi in maniera più proficua. Al marito Angela propinerà un mucchio di scuse e di panzane per giustificare le proprie assenze e riuscirà in certa misura a farlo in maniera convincente (ma non troppo, dato che l’uomo sospetterà fin da subito una relazione extraconiugale della moglie) e, infine, l’idea di partire da Livorno con il traghetto prenderà finalmente corpo.
Ma – come è noto dai versi di Robert Burns – “i migliori piani di topi e uomini vanno spesso di traverso / e non ci lasciano che dolore e pena / invece della gioia promessa” e la trappola del destino scatta inesorabile sotto forma di un container che contiene arredi ecclesiastici e che ospita Angela e il giovane Michele per un addio più approfondito di quanto forse sarebbe stato necessario.
Il container si chiude a sorpresa imprigionandoli e viene caricato su una nave in rotta per destinazione ignota. Nonostante la paura e lo stress provati (o forse proprio per questo ?), la situazione di forzata contiguità e la simpatia nutrita dalla signora per il giovane fuggiasco si tramuta in un rapporto sessuale ardente e goduto da entrambi nel buio cavernoso dello scatolone metallico.
Il giorno dopo, il contenitore sarà scaricato in un porto a loro sconosciuto che si rivelerà essere quello di Olbia e qui inizieranno le rocambolesche avventure di Angela, catapultata in un’avventura in cui si muoverà con straordinaria (e imprevedibile) abilità e che la vedrà assumere identità diverse di volta in volta fino a trovarsi in situazioni di estrema difficoltà da cui si disimpegnerà con grande fatica ma senza subire danni irreparabili. Anzi tutto andrà alla fine per il meglio (come è lecito aspettarsi da un romanzo rosa a sfondo avventuroso e come accade, infatti, nelle narrazioni di questo tipo scritte da Agatha Christie o da Barbara Cartland).
Ma i modelli di Recami non sono tanto questi ultimi che, tutto sommato, possono essere identificati come letteratura di “medio livello” letterario nelle loro intenzioni anche se “popolare” nelle prospettive e nelle tirature e nelle vendite conseguite.
L’ironia di Recami si indirizza su un genere ormai tramontato come tale (la cosiddetta “letteratura d’appendice” o “paraletteratura”) ma ancora ben vivo nelle coscienze dei lettori di “letteratura di consumo” – come si preferisce definirla ora in ambito critico[1].
L’autore di Il segreto di Angela si diverte in proposito a dare ai capitoli del manoscritto dei titoli che alludono direttamente a dei “capolavori” del genere parodiato.
Nel romanzo, allora, si rincorrono Anche i ricchi piangono, titolo di una celebre telenovela brasiliana importata in Italia, credo, negli anni Ottanta, I tre giorni del Condor, il bel film di Sydney Pollack del 1975 tratto dal romanzo di James Grady [2], Farandola di cuori di Liala, Angelica alla corte del re della fortunata coppia Anne e Serge Golon[3], Il castello di Otranto di Horace Walpole,
La prigioniera di Marcel Proust, Sepolta viva dell’implacabile Carolina Invernizio e Jackie Brown di Elmore Leonard[4] (non tutti romanzoni “d’appendice”, peraltro, a dimostrazione delle colte letture della protagonista
Infine, lo stesso Recami si espone meta-letterariamente facendo pronunciare alla sua protagonista una sorta di ironica riflessione a parte sul genere in cui si trova proiettata come accadeva spesso al “narratore onnipotente” del bel tempo antico (anche se la sua ironia la colloca, in realtà, ad un terzo, ulteriore livello, quello sociologico-psicologico, rispetto all’enunciazione critica e alla funzione narrante delle sue dichiarazioni) :

«Mi tornavano alla mente un sacco di cose, per esempio quando cercavo di spiegare in classe quello che rappresentavano le regine del romanzo rosa, create da celebri scrittrici come Carolina Invernizio, Liala, Maria Venturi. Sembra ovvio che la lettrice di quelle schifezze si identifichi con le eroine dei romanzi, siano esse Cenerentole nella Torino dei primi del Novecento sposate a ricchi imprenditori, aristocratiche toscane di fine Ottocento cadute in disgrazia ma in odore di redenzione, oppure giovani infermiere degli anni Novanta di cui si innamora un belloccio chirurgo plastico brasiliano. La lettrice si identifica con questi personaggi ? Desidera essere come loro ? Ma no che non lo desidera. Vorrebbe essere la scrittrice stessa, una che vive in una villa meravigliosa, una che si è conquistata l’autonomia, il successo e il rispetto grazie ai romanzi che ha scritto, una invidiata, magari criticata dagli invidiosi, ma che fa una vita di sogno, con dei vestiti costosissimi, e che viene invitata nei circoli più esclusivi. Poi va detto che la lettrice non ha una grande immaginazione, certe cose proprio non le sa, può solo ricorrere alla fantasia, dilatando i suoi personali parametri : quindi probabilmente si immagina che nel lusso sfrenato del jet-set, ci siano lavastoviglie silenziosissime da 24 coperti, o lavatrici che esauriscono un ciclo  completo in 14 minuti»[5].

Il meta-romanzo (e la sociologia della letteratura con esso) finiscono ma poi, nel libro, la  vicenda seriale  che si svolge nella “casa di ringhiera” con i suoi alti e bassi continuerà ancora…

 



[1] Sul tema cfr. l’ancora importante saggio di C. BORDONI, La letteratura di consumo, Napoli, Liguori, 1993.

 

[2] Il romanzo di Grady, in realtà, si intitola I sei giorni del Condor (trad. it. di A. Michettoni, Milano, Rizzoli, 1977). La sceneggiatura del film di Pollack è opera di Lorenzo Semple jr.  che semplifica radicalmente il plot e i personaggi principali (che, nel film, sono interpretati da Robert Redford, Max von Sydow , Faye Dunaway e Cliff Robertson).

 

[3] La serie delle avventure di Angelica ebbe grande fortuna negli anni sessanta e settanta anche grazie (ma non solo) alla serie cinematografica interpretata dalla bellissima Michèle Mercier e diretta da Bernard Bordèrie.

 

[4] Jackie Brown è peraltro assai più noto come titolo di uno dei film meno sperimentali di Quentin Tarantino. Il film è uscito nel 1997 mentre il romanzo di Leonard è del 1992 (trad. it. di P. Formenton, Milano, NET, 2004).

 

[5] F. RECAMI, Il segreto di Angela, Palermo, Sellerio, 2013, pp. 122-123. Qui Angela si dimentica del fortunato “re” dei romanzi “d’appendice” che fu  in seguito inseguito e copiato da tutti gli autori dello stesso genere e cioè Georges Ohnet.





     

 
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