Gianni Conti,Il professore, Firenze, Polistampa, 2008


Il professore
di Paolo Vannini

La morale comune vieta a un professore, cinquantenne, di avere una relazione con un’allieva, diciassettenne. Ma dove c’è un divieto c’è un desiderio. La morale vieta perché sa che in questa relazione si annida un desiderio. Il libro di Gianni Conti porta alla luce il desiderio e la sua vicenda.
Questo desiderio appare nella vita del professor Tommaso Salutini in un momento di crisi. Cinquant’anni, la pancetta, qualche capello bianco, minacciano di far crollare l’intero edificio della sua esistenza. Cerco di dirlo con una mia fantasia, la fantasia della bestia, che non c’è nel libro, e della quale quindi sono l’unico responsabile. Pertanto eventualmente rifatevela con me, non con Gianni Conti, che non c’entra niente. E lo esprimo così: tutta la vita del professore è stata quella di nutrire la bestia e adesso è in crisi perchè teme di non trovare più cibo da darle.
Il professore infatti non abita solo. Nella sua casa c’è anche la bestia. Un ospite molto caro al professore, al punto che si è fatto suo servo, e la bestia è diventata padrona di casa. Tutto quello che il professore fa, lo fa per servire la bestia, soddisfarla e nutrirla, affinché non muoia.
Quando il professore vuol conquistare gli studenti, cerca un piacere che è cibo per la bestia. Se tenta di screditare il supplente, i colleghi o il suo allievo migliore, lo fa per nutrire la bestia. Il godimento che prova se una donna lo considera il migliore dei suoi amanti è cibo da dare in pasto alla bestia. E quando dall’Aventino del suo appartamento, dopo aver lasciato la scuola, vorrebbe mancare tanto ai suoi studenti e che tutti andassero da lui, è sempre a servizio della bestia.
Qual è la bestia? Quale il suo nome? Io non la chiamerei narcisismo. Il vero narcisista non ha bisogno degli altri, basta a se stesso. Narciso si specchia da solo nello stagno, sicuro della sua bellezza. Si ammira, e questo già lo soddisfa, non vede nessun altro, cosa gl’importa dell’adorazione di Eco, innamorata di lui?
Il professor Tommaso Salutini invece ha un bisogno insaziabile degli altri, per riceverne ammirazione e stima, per competere con loro e vincere, per non restare solo. Il professore ha fame di conferme, perché, a differenza di Narciso, è insicuro.
E allora questa bestia io la chiamerei potere. E il potere è una brutta bestia. Perché è tiranna e costringe il suo servo a fare una cosa sola nella vita: trovare cibo per lei. Così il servo, cioè il professor Salutini, vive una vita a una dimensione, che ha perduto non solo la libertà, in quanto è servo, ma anche la molteplicità, perchè fa sempre una cosa sola.
Se la bestia del potere è una così gran brutta bestia, però, ecco la domanda, perché il professore se la tiene in casa, e ci tiene tanto a lei, e ha così paura di perderla? Dice in un punto il professor Salutini: i segnali di stima, amicizia ed amore…avevano lo stesso scopo, trasmettermi fiducia in me stesso. Allora funzione della bestia è quella di dare al professore fiducia in sé. Sì perchè ogni volta che le porta del cibo la bestia lo ringrazia dicendogli: tu sei potente. E per questo rappresenta un importante rimedio nei confronti di qualcosa di cui il professore ha molta paura, e cioè una voce che ha dentro di sè e gli dice invece il contrario, gli dice tu sei impotente.
A cinquant’anni il professore teme di perdere la bestia, cioè questo rimedio, e di non poter più rispondere alla voce, che adesso incalza e infierisce perchè aggiunge ora sei anche vecchio quindi a maggior ragione e ormai per sempre impotente. A soccorrerlo in questa crisi interviene il desiderio.
Il desiderio del professore si rivolge alle donne bambine. Non bambine, il professor Salutini non è un pedofilo. Ma nemmeno donne. Donne bambine, esseri che non sono più bambine e non sono ancora donne, cioè adolescenti. Il fascino dell’adolescenza è quello di chi contiene in sé tutte le potenzialità, ancora tutte da sbocciare. Tuttavia le donne bambine desiderate dal professore non sono solo adolescenti, sono anche le sue allieve. Perché?
C’è un tema che si ripresenta con insistenza nel libro di Gianni Conti. Alessia tenta il suicidio perché è amata dal padre. Leonardo, l’allievo rivale, amato ed odiato, tenta, sia pure timidamente, di rubare al padre la nuova donna, cioè la sostituta della madre. A proposito delle fantasie erotiche sulle sue allieve, il professore dice di sentirsi come uno scultore che crea la sua opera, e il rapporto dello scultore con la sua opera è un rapporto padre figlia. Così il professore è, per età, per autorità, per la sua funzione, figura di padre, e l’allieva è figura di figlia. E allora il desiderio si rivolge alle allieve perché è in fondo un desiderio edipico. Quando la morale avversa così tanto questa relazione, in fondo pensa: è proibita perché è un incesto. Certo non lo è realmente. A chi lo accusasse di incesto il professore potrebbe facilmente rispondere “ma Alessia non è mia figlia”. Tuttavia lo è simbolicamente. Proprio perché il ruolo del professore lo rende simbolo di padre, e quello dell’allieva ne fa un simbolo di figlia. Così il professore si comporta un pò come un padre geloso della figlia, che, quando lei trova un ragazzo, si sente scalzato dal trono e cerca di riconquistarlo.
E’ evidente dunque perché il desiderio compaia proprio nel momento di crisi, perchè promette di portare nuovo cibo per la bestia la quale rassicura dicendo: se tu conquisti un’allieva non sei vecchio e impotente, sei ancora giovane e potente, più potente dei giovani perchè vinci la loro concorrenza.
E allora il vero motore delle azioni del professore, tutte rivolte a sfamare la bestia, è un’angoscia di fondo, dalla quale la bestia deve proteggere. Il libro è a un primo livello piacevole e divertente a leggersi, ma a un secondo livello è un libro angosciante. Il professore è dominato dall’angoscia. Questo è il tema del professore, il filo della sua vita che è in fondo l’angoscia di non esser nato, perchè non è ancora nato un io indipendente dalla bestia, ed è quindi il desiderio ma insieme anche la paura di nascere.
Però non è tutto qui. E adesso veniamo all’aspetto principale, al tocco geniale del libro. Il professore tiene un diario. Anzi scrive due diari.
Il primo è un diario tradizionale, dove si registrano gli avvenimenti del giorno. Ma il secondo è un diario diverso, col quale il professore riprende il primo diario, ma lo cambia, lo espande e ne fa il punto di partenza per inventare dei racconti, facendo un’operazione di creatività e di letteratura. Al punto che il lettore non può sapere quale delle vicende raccontate sia veramente accaduta. Al limite può darsi anche che, di tutto quello che è raccontato nel libro, al professor Salutini non sia accaduto nulla, e sia tutta invenzione della sua fantasia. In questo modo il professore intreccia il secondo diario col primo, sicchè non è più possibile distinguere l’uno dall’altro, secondo una tecnica narrativa originale e di grande interesse, definita dallo stesso Gianni, con espressione suggestiva, diario nel diario. La quale tecnica conferisce al libro una struttura composta da due livelli di finzione. C’è prima la finzione dello scrittore, che inventa un personaggio di fantasia, il professor Salutini, e c’è poi la finzione del personaggio, che inventa storie di fantasia in modo tale che realtà e finzione diventano per il lettore inestricabili. Ma quello che più conta, e qua veniamo davvero all’aspetto decisivo del libro, è che il professore, con il secondo diario, siano vere o inventate le sue storie, elabora i temi centrali della sua vita, li fa uscire alla luce, ne fa oggetto di riflessione e ne prende coscienza, spinto da una volontà di confessione. Il senso profondo della confessione è quello di dire la verità a se stessi. E lo scopo del secondo diario è appunto quello di fare un’operazione di verità. Quando il professore dice che i suoi alunni sono stati ingannati da lui, schiacciati, e che ha tenuto schiave, unico padrone, intere generazioni di studenti, si confessa, lo dice a se stesso, ne prende coscienza. E però proprio grazie a questa elaborazione il professore ottiene un premio, un premio importante, il premio di una trasformazione. Mostrando quindi la potenza della scrittura. Una potenza trasformatrice.
Questa trasformazione è scandita da alcune tappe decisive, che s’incuneano col loro valore di cambiamento nell’architettura della personalità del professore, sicchè, tra oscillazioni, tentennamenti, passi avanti e ritorni indietro, il nuovo della sua vita che avanza si mescola col vecchio che resiste. Ricorderò solo qualcuna di queste tappe.
Una è la decisione di cambiare il colore della propria stanza, che significa cambiare i colori della propria stanza interna, cambiare i colori dell’anima. Prima c’era il giallo. Il giallo è il colore dell’oro, del potere. E’ un colore che attira l’attenzione, seducente. Quando una nave è in pericolo, per farsi notare, innalza bandiera gialla. Poi il professore decide di cambiare il giallo del potere e della seduzione con il bianco, il colore della purezza e dell’alba, dell’inizio di un nuovo giorno. E sopra il bianco aggiunge delle ancore, per attrezzare la nave della propria vita ad affrontare un cambiamento del tempo, una bufera, per prepararla a sostenere le tempeste di una trasformazione.
Un’altra tappa è quella della liberazione, da parte del professore, della sua affettività, soprattutto verso Sara e verso Leonardo. Il potere congela l’affettività, il voler bene all’altro, perché nel potere l’altro non è nemmeno visto. Il potere fa rimanere nell’immanenza del sé. Ma con Sara e Leonardo il rapporto culmina in momenti di autentico contatto, di trascendenza del sé verso l’altro, di affettività. Quando Sara dice grazie al professore, non è un grazie formale ma vero. E qui il professore sperimenta una grande potenza, quella di riuscire, con un momento autentico di affettività, a cambiare la vita di Sara. Qui fa esperienza che la potenza non sta nel potere ma nell’affettività, e che questa si libera proprio quando si è fuori dal potere. Adesso non vuole sedurre l’allieva per compiacere la bestia, e nel momento vissuto con Sara, uno degli episodi più toccanti del libro, nasce finalmente un vero sentire. La tirannia della bestia è ormai apertamente contestata. Qui non è la bestia che dice voglio il cibo ma il professore che dice io ti voglio bene. Il che testimonia che è nato un io indipendente dalla bestia.
Una terza tappa. All’editore che vuole modificare il libro per venderlo di più, per sedurre più lettori, adattandolo ai loro gusti, il professor Salutini ormai dice di no. E dicendo no all’editore dice di no alla bestia del potere. Ciò che conta non è sedurre, ma che il libro dica la verità dell’autore, i suoi problemi, le sue passioni, la verità della sua anima. Finchè il professore è schiavo della bestia, non è nella verità ma nell’inganno, nell’autoinganno. Quando il professore si compiace perché la bestia gli dice sei potente, si sta ingannando. Ma adesso l’inganno vacilla di fronte a un’urgenza di verità. Di nuovo anche qui non è più la bestia che dice voglio cibo ma il professore che dice io voglio dire la verità. E ancora si conferma che un io indipendente è nato.
Ma il libro del quale il professore discute con l’editore non è altro che il diario, il diario nel diario del professore. Il quale quindi, lui che non ha mai voluto fare un figlio, attraverso il processo di elaborazione del suo diario, genera, partorisce quel figlio che è il suo libro, che è questo libro. Un libro che, se viene letto superficialmente, può apparire anche solo come una storia di sesso. E agli occhi di un moralista una relazione tra professore e allieva può apparire anche come una torbida storia di sesso. Ma, a chi è capace di vedere appena oltre, questo libro appare come il racconto di un’esperienza di elaborazione dei propri temi interni, il senso di impotenza, la seduzione, il bisogno di conferme, il potere, l’angoscia, e come il racconto di un’esperienza di trasformazione e di nascita, la nascita di un io indipendente e libero. Per questo il professore può dire alla fine che quell’anno memorabile è stato il più felice della sua vita. Dove il valore è dato soprattutto dalla capacità dello scrittore di entrare nell’anima del professore e di portarne alla luce i temi veramente vissuti, nei quali è esistenzialmente coinvolto, quelli che sono carne e sangue della sua vita. Temi universali, che appartengono a tutti noi, scagli la prima pietra chi pensa di esserne immune. Buona parte del valore del libro è data dalla sincerità con la quale il professor Salutini si racconta.
Questa mia lettura secondo me è confermata dal finale del libro, che, di nuovo, agli occhi di un moralista può apparire come il culmine della perversione, ed è invece il culmine di questo processo di liberazione e di generazione di cui ho parlato finora, oltre che la testimonianza significativa che una trasformazione è avvenuta. Ma questo finale, così straordinariamente incisivo, avrebbe bisogno di una notevole discussione sul piano dell’interpretazione, e questo non lo farò adesso perchè non voglio svelare qual è il finale. Alla presentazione di un libro la prima cosa da non fare è quella di raccontare come finisce, perchè sarebbe come svelare, a chi volesse leggere un giallo, chi sia l’assassino. Mi limito quindi a dire soltanto che è un finale catartico, dionisiaco, al di là del bene e del male, vitalistico, una potente affermazione di vita al di là di ogni moralismo. Un gioioso sì. Non è un caso che il libro si concluda con un avverbio di affermazione. L’ultima parola di questo libro è, in sostanza, la parola sì.
 Naturalmente quella che ho fatto è solo la mia lettura, del tutto soggettiva. Si può essere d’accordo, si può non essere d’accordo, si può essere d’accordo in parte, ma quello che spero è di esser riuscito a dare almeno, con le mie insufficienti parole, anche solo una pallida idea della grande ricchezza del contenuto di questo libro coraggioso e dalla forma purissima.




     

 
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